
Venerdì 7 febbraio ore 21 il Circolo Itinerante Proletario “Georges Politzer” e la Panetteria Occupata organizzano la proiezione del film
“From Ground Zero – Stories from Gaza” di Rashid Masharawi
Per parlare di Gaza e della Palestina partiamo da una serie di immagini, le stesse che ci hanno accompagnato per più di 15 mesi nel percorrere le strade di Milano e gridare tutta la rabbia ed il dolore per questo silenzio disumano che ha caratterizzato non le popolazioni, ma i governi di tutta Europa.
Un genocidio lento, inesorabile e reso spettacolo dai media e dai racconti di giornalisti senza scrupoli (a parte poche rare voci fuori dal coro) affinché sia da monito per chi non accetta di morire in silenzio, giorno dopo giorno: i Palestinesi per quasi un secolo e noi che ancora a livello di pensiero dominante ascoltiamo che a far partire tutto sia stato il 7 ottobre 2023. Eppure quel giorno è come un grido dirompente che ha messo a nudo la volontà di non arrendersi mai, di lottare per la propria terra, per la propria libertà nel senso più profondo della parola: “noi Palestinesi siamo qui e non siamo disposti a stare a guardare, né tanto meno a perdere la speranza nel futuro per noi, per i nostri padri e madri, per i nostri figli”.
A partire da quel momento quasi subito a levarsi è stato il fumo della polvere, il frastuono delle bombe e dei palazzi che crollano come fossero tessere del domino, le fiamme, il sangue, ma insieme alla sofferenza si è accesa ancora più forte la determinazione, si è saldato ancor più forte il legame che c’era tra la popolazione gazawi e la Resistenza, sia quella del vivere giorno dopo giorno nonostante il caos intorno, sia quella armata.
La grande mattanza di questi 15 mesi e la devastazione totale del territorio sono in linea con le ripetute dichiarazioni dei sionisti, un progetto di pulizia etnica congegnato anni fa e sostenuto dai colonialisti americani con la complicità dell’Europa e delle forze reazionarie arabe, tutti convinti che con le condizioni di invivibilità create sia il momento di attuarlo. Il numero dei martiri continua ad aumentare, con il recupero dei corpi dalle strade e da sotto le macerie, il viaggio del ritorno verso il Nord dei gazawi è iniziato con un flusso ininterrotto di migliaia di giovani, donne, bambini, uomini, alcuni costretti a percorrere anche 24 Km a piedi, senza acqua né cibo, nonostante tutto la dura marcia viene vissuta come una festa di liberazione. Tutti sono consapevoli della realtà che troveranno con le loro case completamente spianate, i campi verdi che non esistono più, ciò nonostante sono contenti di tornare a respirare l’aria della propria terra. Vogliono anche riabbracciare i loro cari rimasti in vita e seppellire gli altri che sono stati assassinati. Questa è la eloquente risposta alle dichiarazioni del Presidente degli USA Trump circa l’ipotesi di una possibile deportazione. Certo, i gazawi dovranno fare i conti con tante difficoltà, prima fra tutte una quantità di bombe di vario tipo inesplose da rimuovere che il boia ha volutamente lasciato in ogni angolo con l’intenzione di continuare ad uccidere e mutilare. Soprattutto preoccupano le bombe camuffate da giocattoli, o da scatole di cibo, di caramelle o di bevande sparse sul territorio, trappole per i bambini che sono curiosi per natura. A tutto questo vanno aggiunte le difficoltà di reperire i materiali necessari per la ricostruzione, la mancanza di acqua e di attrezzi per rimuovere le macerie. Molti non riescono neppure a riconoscere il paesaggio, non riescono a trovare le proprie case, in quanto tutto è diventato un cumulo di cemento e ferraglia. Ma la gente vuole tornare e recuperare qualsiasi oggetto con la certezza che così il ricordo verrà tenuto vivo.
E noi che parte siamo disposti a fare?